È il governo del capitale finanziario. La figura del Presidente del Consiglio incarna nella sua persona il profilo della propria classe. Di fronte alla crisi profonda dei propri equilibri politici, la borghesia italiana ha fatto ricorso alla riserva della Repubblica, attribuendole una funzione salvifica.
Mario Draghi non è un ordinario servitore dello Stato. È la gioielleria di famiglia del capitalismo italiano. Il clima di reverente ossequio e di religiosa speranza che pervade all'unisono tutta la stampa borghese ha pochi precedenti nella storia recente. Come ha pochi precedenti lo scatto sull'attenti di partiti borghesi di opposto colore che in poco più di ventiquattro ore si sono allineati compunti attorno alla figura del Presidente per recitare in coro il nuovo rosario.
Il PD ingoia Salvini. I Cinque Stelle digeriscono Berlusconi. Conte si candida a capo dei Cinque Stelle. Renzi celebra il proprio successo sperando nella disarticolazione del PD (e nella riconoscenza di Carlo Bonomi). Salvini si scopre “europeista”, e con lui persino i Borghi e i Bagnai. In poche ore ognuno ha stracciato le solenni promesse della vigilia («O Conte o il voto!», «Mai con Salvini!», «Mai con il PD!») e più in generale il proprio profilo pubblico, pur di iscriversi alla corte di Draghi.
In queste conversioni grottesche non c'è solamente la celebrazione del trasformismo, già peraltro protagonista della legislatura con un Conte per ogni stagione. Né certo ci sono calcoli elettorali, che semmai avrebbero consigliato ad ognuno altre scelte. C'è fondamentalmente il richiamo dell'interesse superiore del capitale e la propria volontà di servirlo. «Come si può dire no a Draghi?», «Come si può dire no al Presidente della Repubblica che lo ha incaricato?», «Come si può dire no alla salvezza dell'Italia nell'ora del pericolo?». In queste domande retoriche, rimbalzate in ogni commentario pubblico, c'è la consacrazione del nuovo governo. Persino Fratelli d'Italia, che non voterà la fiducia, loro sì per ragioni di cassetta, annuncia un'opposizione pro forma in punta di piedi, quasi chiedendo scusa e offrendo «lealtà».
Tutti i nodi vengono al pettine. La grande bolla populista – prima pentastellata e poi leghista – che ha attraversato l'ultimo decennio, vive oggi il proprio funerale. Milioni di proletari che avevano creduto alle invettive contro “la casta” di un comico a cinque stelle, cercandovi in non pochi casi un surrogato della sinistra perduta, si trovano umiliati da un personale politico unicamente dominato dalle proprie ambizioni ministeriali. Milioni di operai dirottati da Salvini contro l'“Europa dei banchieri” nel nome della sovranità tricolore si trovano arruolati al governo con il governatore uscente della BCE. Tutte le illusioni reazionarie seminate tra i lavoratori in dieci anni da cinici truffatori senza scrupoli si specchiano nel proprio fallimento.
Si dimostra una volta di più che l'unica alternativa vera è tra gli interessi dei lavoratori e gli interessi del capitale. Il capitale ha radunato attorno a sé i suoi partiti; il movimento operaio deve unire le proprie file contro i partiti del capitale. O di qua o di là. E se si sta di qua, occorre prepararsi a una mobilitazione vera, di classe e di massa, che si ponga all'altezza dello scontro che si prepara, dallo sblocco dei licenziamenti, alla nuova riforma delle pensioni.
Il governo nasce col vento in poppa di un'opinione pubblica largamente favorevole, ma anche diffidente. Dispone di un margine di manovra sotto il profilo finanziario ben più ampio di quello di Monti. Ricercherà, a differenza di Monti, la concertazione con la burocrazia sindacale, che non aspetta altro, e già infatti si inchina al nuovo governo.
Ma la profondità della crisi capitalista sarà in ogni caso un osso duro anche per Draghi. Chi è abituato a camminare sulle vette dell'adulazione pubblica dovrà misurarsi con la gestione della pandemia, i DPCM, i contenziosi quotidiani con le Regioni, le fatiche della comunicazione mediatica, le insoddisfazioni della piccola borghesia declassata, le mille contraddizioni nonostante tutto della maggioranza politica che lo sostiene, incluso il nodo della futura legge elettorale. E dovrà confrontarsi anche e soprattutto con le incognite della resistenza di classe e i rischi del conflitto sociale. La concertazione mira a disinnescare il conflitto, ma perciò stesso ne rivela l'esistenza e ne confessa la paura.
Investire nel conflitto di classe, estenderlo e generalizzarlo, dare ad esso una piattaforma di lotta indipendente è il compito delle avanguardie di classe, ovunque collocate. Contro il governo dell'unità nazionale è l'ora degli stati generali di tutte le sinistre di opposizione e di classe, politiche e sindacali, fuori da ogni logica di autorecinzione.
Partito Comunista dei Lavoratori
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